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English Version

Conferenza Internazionale per la Pace

Londra, 10 dicembre 2005

Organizzata dalla coalizione britannica Stop the War, la conferenza si era annunciata come uno dei più grandi incontri tra gli attivisti per la pace. E secondo le prime stime, così è stato.

Più di mille quattrocento partecipanti si sono dati appuntamento al Royal Horticultural Hall di Londra per una riunione fiume di ben dieci ore sul “problema centrale della politica mondiale attuale”, ossia l'invasione e l'occupazione dell'Iraq. Sono intervenuti delegati dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dall'Iraq stesso – i tre paesi più strettamente coinvolti. Erano presenti anche relatori e delegati provenienti da Iran, Pakistan, India, Filippine, Canada, Turchia, Polonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia e altri paesi europei.

Iniziando e terminando con una puntualità svizzera, le quattro sessioni dell'incontro hanno consentito ai partecipanti di condividere idee ed esperienze e di progettare azioni future. Hanno potuto ascoltare la testimonianza diretta di tutti i delegati iracheni, ad eccezione di quella di Sheik Hassan al Zargani, rappresentante di al Sadr, in quanto gli è stato negato il visto d'ingresso per ben due volte. (Per i dettagli vedi il comunicato stampa [in inglese] di Stop the War)

Il primo documento votato ed approvato è stata la risoluzione, presentata dal Coordinatore di Stop the War, Andrew Murray, in favore del rilascio di tutti i prigionieri illegalmente detenuti in Afghanistan, in Iraq e nella base americana di Guantánamo; la risoluzione contiene anche la richiesta di rilascio dei quattro ostaggi CPT, nonché di assicurare la loro incolumità.

Un caloroso benvenuto ai delegati è stato pronunciato da un'icona della sinistra britannica, il presidente di Stop the War, Tony Benn, ex-parlamentare e già Segretario del Partito Laburista, ormai ottantenne. “Non ho più l'età per protestare,” ha esordito, “pertanto non protesto: esigo! Esigo la fine della guerra, la fine delle minacce di guerra contro la Siria e l'Iran e, infine, l'incriminazione di Bush e di Blair per i loro crimini di guerra.”

In seguito Lindsey German di Stop the War ha letto la dichiarazione principale della conferenza, la quale include sei punti tra cui: l'organizzazione di una mega-manifestazione globale per il 18 marzo prossimo per rivendicare la fine dell'occupazione e il ritiro immediato di tutte le truppe senza lasciare basi militari; un'inchiesta ufficiale sull'attacco a Fallujah di un anno fa. La dichiarazione è stata approvata all'unanimità (vedi il documento integrale).

Iraq, gli USA e la Gran Bretagna: la situazione attuale

La prima delle quattro sessioni è servita a fare il punto sulla situazione attuale. Hanno parlato la Prof.ssa Elaheh Koolaee dell'Università di Tehran, per la quale “non si tratta di una guerra contro il terrorismo bensì di una guerra contro le istituzioni democratiche”, e Phyllis Bennis, dell'Institute for Policy Studies (Washington), che ha illustrato come il movimento americano per la pace stia pian piano raggiungendo l'ampiezza dei movimenti nel resto del mondo. Bennis ha ribadito l'importanza di esigere il completo ritiro militare da tutta la regione, senza lasciare truppe “oltre l'orizzonte”.

L'esile iracheno Sami Ramadani, docente universitario, ha denunciato le due “enormi bugie” raccontate per giustificare l'invasione e l'occupazione dell'Iraq. La prima è la ben nota bugia sulle armi di distruzione di massa. La seconda è il presunto antagonismo tra le tre etnie religiose dell'Iraq, le quali – qualora si dovesse procedere al ritiro delle truppe – si scatenerebbero in una guerra fratricida. Ramadani ha denunciato infine l'uccisione “silenziosa” della popolazione irachena per via dei proiettili ad uranio impoverito lasciati sul terreno, per la trascuratezza del sistema sanitario del paese e per la mancata ricostruzione degli impianti di trattamento dell'acqua.

Un attivista iracheno per i diritti umani, che fa anche parte dell'Associazione degli Studiosi Musulmani, ha raccontato di aver parlato, il giorno prima di venire a Londra, con una giovane donna irachena di 26 anni, che era stata appena rilasciata dal carcere dopo un arresto immotivato ed essere stata sottoposta per 10 giorni ad interrogazioni nella sua cella. Le hanno chiesto ripetutamente due sole domande: "Come ti chiami e a quale tribù appartieni?” La sorella di 22 anni è ancora in carcere.

Lo sceicco al Khalisi del Iraqi Foundation Congress ha preso la parola per denunciare ciò che per lui rappresenta la bugia più grande, vale a dire che l'occupazione deve continuare “per il bene del popolo iracheno”. Ha espresso la sua preoccupazione per i quattro ostaggi CPT, il cui rapimento non può che danneggiare la causa per la quale i rapinatori dicono di lottare. Ha espresso anche le sue condoglianze verso le famiglie dei caduti occidentali in Iraq, figli di famiglie delle classi meno abbienti.

Al Khalisi ha segnalato ai delegati che il giorno precedente, a Baghdad, c'erano state solo due ore di energia elettrica – e ciò dopo due anni di ingenti somme spese (secondo Washington) “per la ricostruzione del paese". In fondo, “vivere in Iraq sotto Saddam non era peggio di oggi”, ha aggiunto al Khalisi, il quale ha subito il carcere e le torture sotto il regime di Saddam. In quanto al presunto rischio di guerra civile in Iraq, secondo al Khalisi è un'assurdità: “Molti paesi hanno etnie diverse, perché proprio in Iraq ciò dovrebbe portare al genocidio?” Gli iracheni di tutte le etnie e di tutte le religioni hanno sempre saputo vivere insieme; anzi, durante la fuga precipitosa sul ponte principale di Baghdad lo scorso agosto, durante la quale molti iracheni sono finiti nel fiume, c'erano sunniti sulla riva che si sono buttati nel fiume per salvare gli sciiti.

Infine al Khalisi ha dichiarato che il suo paese aveva bisogno soprattutto di elezioni veramente libere e di tecnici qualificati per assistere con la ricostruzione. Ma ciò presuppone il ritiro immediato di tutte le truppe. Ha aggiunto che qualsiasi paese ha il sacrosanto diritto di difendersi dal terrorismo -- “e l'occupazione militare è la peggiore forma di terrorismo.” La platea è balzata in piedi applaudendo.

Con la relazione di al Khalisi si è conclusa la prima sessione. Durante l'intervallo per il pranzo, i delegati dei movimenti studenteschi – decisi a non perdere un minuto per organizzarsi – hanno indetto un “picnic di lavoro” sul prato per discutere come coinvolgere un maggior numero di universitari e di giovani in generale.

Le campagne delle famiglie dei militari e ex-soldati

La sessione pomeridiana è iniziata con una discussione sulle iniziative, relativamente nuove, portate avanti dalle famiglie dei militari americani e britannici e dagli ex soldati stessi. Queste testimonianze erano molto personali e veramente sentite. La prima a prendere la parola è stata Rose Gentle, madre di un soldato britannico ucciso in Iraq e co-fondatrice dell'associazione Famiglie Militari Contro La Guerra. “Ecco un movimento – ha aggiunto – che non voglio vedere crescere.”

Dello stesso movimento ha parlato Ben Griffin, obiettore di coscienza, che ha raccontato alla platea il motivo del suo rifiuto di servire nell'esercito: “non mi sono arruolato per proteggere gli interessi delle corporazioni multinazionali”. Ha aggiunto che attualmente ci sono più ex-soldati britannici che lavorano per le ditte appaltatrici in Iraq che non nell'esercito. Ad entrambi le categorie di soldati Griffin ha rivolto un appello di agire secondo coscienza: “Non ci si può giustificare dicendo: 'io non faccio che eseguire gli ordini'. Non regge.”

Kelly Dougherty, soldatessa statunitense dell'associazione dei Veterani dell'Iraq Contro La Guerra, ha offerto una sua testimonianza sulla sua epifania, la quale è venuta mentre stava distribuendo caramelle ai bambini di un orfanotrofio. Ha pensato che quei bambini erano stati resi orfani dai bombardamenti fatti dal suo paese. Non ce l'ha fatta più. Inseime ad altri sei veterani hanno fondato l'associazione che oggi, a distanza di un anno soltanto, conta più di 300 iscritti. Dougherty ha parlato anche delle uccisioni insensate che succedono tutti i giorni in Iraq: i civili innocenti che finiscono per sbaglio sotto i camion militari, i quali hanno l'ordine di non fermarsi per nessun motivo, oppure schiacciati, sempre per errore, dai bulldozers.

Medea Benjamin della celeberrima associazione di donne americane “Code Pink”, vestita naturalmente di rosa, ha illustrato gli sforzi del suo gruppo di bloccare, nei campus statunitensi, i tentativi di reclutamento dei soldati. “In una democrazia degna del nome, un giovane non dovrebbe essere costretto ad arruolarsi per avere i soldi necessari per pagarsi l'università.” Ha lanciato un appello a tutte le donne del mondo di riunirsi davanti alle ambasciate americane per protestare contro la guerra anche il giorno 8 marzo, la giornata internazionale della donna.

Su una nota più cupa, Reg Keys, anche lui del gruppo Famiglie Militari Contro La Guerra, ha raccontato lo strazio inflitto ad alcune famiglie di militari che hanno perso un caro in Iraq. Una famiglia ha dovuto assistere a due funerali, in quanto l'esercito ha spedito il resto del corpo del figlio in due contenitori diversi, i quali sono arrivati a distanza di tempo l'uno dall'altro. Ancora più lugubre è stato il funerale a cui ha dovuto assistere un'altra famiglia: il prete ha fermato la cerimonia quando ha scoperto che conteneva solo due gambe, appartenenti del resto a due persone diverse. Keys ha concluso il suo intervento con il racconto di un gruppo di militari britannici in Iraq, il quale ha prestato soccorso ad un uomo che cercava disperatamente di tirare fuori dalle macerie della sua casa, colpita da una bomba “intelligente”, i membri della sua famiglia. Ha trovato solo cadaveri. Dopo averli sepolti, l'uomo imbracciò il suo kalashnikov e salutò i militari britannici, che gli chiesero dove pensava di andare ora. “Al nord, per uccidere gli americani” fu la risposta. “Ora vi chiedo – si rivolse Keys al pubblico in platea -- “come bisogna definire quest'uomo? Un terrorista? Un insorto. Per me non è altro che un uomo deumanizzato dalla guerra.”

L'ultima relatrice a prendere la parola nella sessione del primo pomeriggio non ha avuto bisogno di presentazione: Cindy Sheehan. dell'associazione Gold Star Families for Peace. “Il compito più importante che abbiamo davanti a noi oggi – ha detto – è di gettare le basi per la pace anche in futuro e di portare davanti ai tribunali il signor Bush e il signor Blair, così da avvertire tutti i governanti del mondo che la guerra non paga.” Sheehan ha notato che la prima relatrice, Rose Gentle, aveva annunciato di aver fatto causa per risarcimento contro il governo britannico. “Le auguro in bocca al lupo – ha detto Sheehan – e vorrei seguire il suo esempio. Ma purtroppo la legislazione americana non lo consente. Peccato, se potessi, ridurrei Bush e Cheney in mutande.” In quanto a Blair, Sheehan ha chiesto alla platea di firmare una lettera che aveva preparato per il Primo Ministro britannico. In quell'istante scoccava l'ora del te, durante la quale molti dei partecipanti hanno potuto apporre la propria firma.

Portare davanti ai tribunali Bush e Blair

Lo scrittore ed attivista Tariq Ali ha iniziato la sessione del tardo pomeriggio, incentrata sulle iniziative per incriminare Bush e Blair. Ha sottolineato l'importanza del movimento mondiale per la pace ma ha notato come, ironicamente, esso ha avuto peso solo in quanto gli iracheni, rifiutando di sottomettersi all'occupazione, hanno preso le armi. Il fallimento delle operazioni militari americane e britanniche sta portando ora gli occupanti a cercare di dividere il paese in zone: il nostro impegno, dunque, deve essere quello di batterci per l'unità. Ali non teme l'invasione americana della Siria o dell'Iran in un prossimo futuro in quanto le forze alleate non bastano neanche per l'Iraq: gli USA non possono permettersi un'altra guerra.

Ha preso la parola Hassan Juma, presidente del Sindacato dei Lavoratori del Petrolio nel Sud. L'oratore ha chiesto l'espulsione dall'Iraq delle multinazionali Halliburton, KBR e le altre. “Se c'è una categoria che conosce intimamente i motivi che hanno scatenato questa guerra, siamo proprio noi!” Il suo Sindacato porta avanti una piattaforma che include tra l'altro: la lotta contro la privatizzazione dello sfruttamento del petrolio in Iraq; il sostegno del movimento di resistenza; la cancellazione di tutti i debiti accumulati sotto il regime di Saddam Hussein.”

Quindi c'è stato l'intervento di due attivisti americani. Il primo, una donna, Ann Wright, ex- colonnello dell'esercito americano, che ricopriva un posto importante nello State Department mentre si stava progettando l'invasione dell'Iraq, e che ha dato le dimissioni, per protesta, nel marzo del 2003. Nel suo intervento ha sollecitato tutti coloro che lavorano in qualsiasi posto di responsabilità di non lasciarsi intimidire e di far sentire la propria voce. Ha invitato la platea a riunirsi più tardi davanti al Parlamento, per protestare contro la legge britannica che vieta assembramenti in un raggio di un chilometro: “In fondo, ha concluso , non possono arrestarci tutti e 1500!”.

L'altro americano ad intervenire è stato David Swanson, del celebre sito AfterDowningStreet.org. Dal momento che la legge americana consente il finanziamento di uomini politici attraverso i PAC (Political Action Committees), il suo gruppo ne ha organizzato uno dal nome ImpeachPAC, il quale raccoglierà fondi per sovvenzionare le campagne elettorali di candidati favorevoli all'incriminazione di Bush e Cheney. Swanson ha sottolineato l'importanza della controinformazione attraverso le email, i chat, i siti web, i blog. Un esempio: la comunità dei bloggers facendo capo a AfterDowningStreet ha obbligato i mass media e il congresso statunitense ad indagare sul memorandum di Downing Street, un documento segreto del luglio 2002, venuto alla luce solo nel maggio del 2005 in cui Blair viene informato che Bush aveva già deciso di fare la guerra nel 2002 e che i dati dell'intelligence per giustificarla furono manipolati.

Ai due interventi americani ha risposto John Rees di Stop the War. “Le nostre iniziative per la pace vengono regolarmente etichettate dai mass media come anti-americanismo” ha detto Rees (n.d.r. -- proprio come in Italia!). “Ma ora non più. Ora siamo CON la maggioranza degli americani nel dire NO alla guerra.” Rees ha ricordato come il popolo americano si sollevò nel 1776 per cacciare l'esercito britannico di occupazione. "Così sarà per l'Iraq. L'unico motivo per cui si parla oggi di una "exit strategy" è dovuto al movimento per la pace. Ma il movimento pretende di più. Esige il ritiro completo e la fine dell'occupazione."

Alzando una grande fotografia di Condoleezza Rice, la relatrice successiva, Hanna Abrahim di Woman's Will, una organizzazione di donne irachene, ha proclamato “Questa persona non è del mio sesso. E' una donna? No – genera la morte. Io, come donna, genero la vita.” Ha raccontato come le forze alleate arrestano le donne dei villaggi iracheni per intimidire gli uomini. “Ma ciò facendo, incitano sempre più uomini ad unirsi alla resistenza.”

Billy Hayes, del Sindacato britannico dei Lavoratori delle Telecomunicazioni, ha ricordato ai compatrioti che, quando l'India cercava di liberarsi dall'occupazione britannica, i politici inglesi dicevano che le truppe erano necessarie per salvaguardare il paese dalla guerra civile, viste le molte fazioni etniche e religiose. La storia ha dimostrato che ciò non era vero. La storia dimostrerà che non è vero nemmeno nel caso dell'Iraq.

Per concludere la sessione del tardo pomeriggio, ha preso la parola Walter Wolfgang, ottantenne e membro del Partito Laburista da 57 anni. È stato fisicamente trascinato via dall'ultimo congresso laburista per aver interrotto il discorso del Ministro laburista degli Esteri, Jack Straw. Quando Straw ha asserito che la Gran Bretagna “sta ancora in Iraq per un solo motivo, quello di aiutare il governo eletto a ricostruire il paese e renderlo democratico e stabile”, Wolfgang si è alzato e ha gridato: “Balle!” Riguarda l'occupazione dell'Iraq, Wolfgang ha aggiungo: “Se i ladri devastano la tua casa, per rimetterla in ordine mica conferisci l'incarico ai ladri.”

Costruire un movimento internazionale

La sessione serale aveva per scopo quello di promuovere la costruzione di un movimento internazionale ben collegato.

Herbert Docena dell'associazione Focus on the Global South (Manila) si è complimentato con i pacifisti presenti alla conferenza: “Non vi conosciamo ma, dalla TV filippina, abbiamo potuto vedervi marciare per la pace. Ci avete tirati su. Non smettete di marciare. Ma una sola cosa: coinvolgete di più gli iracheni. Dovrebbero essere loro in testa alle marce e a guidare insieme a voi il vostro movimento.”

Dagli USA un'altra testimonianza, questa volta da Judith LeBlanc di United for Peace and Justice, una federazione che, dopo solo tre anni di esistenza, conta più di 1400 gruppi affiliati che provengono da ogni anglo degli Stati Uniti. LeBlanc è una “nativa americana”: conosce di persona l'alto prezzo pagato dalle minoranze in America in termini di reclutamento e tagli ai sussidi per finanziare la guerra. Ha spiegato poi gli sforzi della sua associazione per contrastare il reclutamento.

Hanno preso la parola due relatori iracheni, Sabah Jawad degli Iracheni Democratici contro l'Occupazione e il dott. Tamimi dell'Associazione dei Musulmani della Gran Bretagna. Il primo si è indignato che un paese democratico, quale si proclama di essere la Gran Bretagna, rifiuti il visto di entrata ad un esponente dell'opposizione irachena come Hassan al Zargani, rappresentante di al Sadr. Il dott. Tamimi ha ironizzato sulle dichiarazioni recenti dei leaders politici occidentali in favore della pace: “Certo che vogliano la pace. Ma quale pace? Quella in seguito alla sottomissione totale del popolo iracheno. La Pax Americana, come la Pax Israeliana in Palestina.”

L'ultimo a parlare è stato il parlamentare britannico George Galloway, noto per il suo attivismo contro la guerra in Iraq e il suo recente viaggio a Washington per testimoniare davanti al senato dopo essere stato accusato di corruzione nel programma Oil for Food. “Due anni e mezzo fa, Washington e Londra hanno dichiarato la guerra. Oggi noi dichiariamo la pace! E in tutto il mondo!”

Conclusioni

La Conferenza ha avuto un grande successo, sia in termini di partecipanti, sia in termini di strutture organizzative create per il futuro. Ad esempio, il gruppo romano di statunitensi contro la guerra ha potuto sentire e conoscere i leader dei gruppi pacifisti statunitensi, con i quali non aveva mai potuto avere rapporti diretti in precedenza.

L'organizzazione e la lungimiranza del movimento britannico sono certamente da prendere a esempio. Sarebbero da prendere a esempio anche i loro legami con la società musulmana locale, grazie ai quali hanno potuto far venire gli esponenti iracheni.

Alle 8 di sera, dopo dieci ore di discussioni, la sala era ancora colma, tanto quanto in mattinata. I relatori che hanno parlato sono rimasti fino alla fine, per sentire gli altri, a differenza di ciò che succede normalmente alle conferenze. C'era nell'aria un vero desiderio d'imparare dagli altri – un impegno tangibile, che si poteva respirare. Come aveva detto il parlamentare Galloway, a Londra si è dichiarata la pace. E i 1500 attivisti presenti sembravano ben intenzionati a portare avanti la battaglia in tutto in mondo.

Stephanie Westbrook

Traduzione di Patrick Boylan

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"Oggi abbiamo dichiariato la pace! E in tutto il mondo!"
George Galloway MP

 

"Molti paesi hanno etnie diverse, perché proprio in Iraq ciò dovrebbe portare al genocidio?"
al Khalisi, Iraqi Foundation Congress

 

"Non ci si può giustificare dicendo: 'io non faccio che eseguire gli ordini'. Non regge."
Ben Griffin, Military Families Against the War

 

"Non vi conosciamo ma, dalla TV filippina, abbiamo potuto vedervi marciare per la pace. Ci avete tirati su. Non smettete di marciare."
Herbert Docena, Focus on the Global South

 

"Se i ladri devastano la tua casa, per rimetterla in ordine mica conferisci l'incarico ai ladri."
Walter Wolfgang

 

"In una democrazia degna del nome, un giovane non dovrebbe essere costretto ad arruolarsi per avere i soldi necessari per pagarsi l'università."
Medea Benjamin, Code Pink

 

"La legislazione americana non mi consente di fare causa contro il governo. Peccato, se potessi, ridurrei Bush e Cheney in mutande"
Cindy Sheehan, Gold Star Families for Peace

 

"Se c'è una categoria che conosce intimamente i motivi che hanno scatenato questa guerra, siamo proprio noi!"
Hassan Juma, Iraqi Southern Oil Workers Union

 

 

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